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lunedì 25 luglio 2011

Verso un governo di transizione ?

Lo stupefatto silenzio con cui è stato accolto a Montecitorio il risultato della votazione sull'arresto di Alfonso Papa è non soltanto testimonianza della sorpresa per un risultato che pochi si aspettavano ma è anche il segnale di un mutamento profondo del quadro politico nazionale.

Tale votazione ha infatto messo in evidenza quanto segue:

- il cambiamento della leadership all'interno della Lega: Maroni ormai controlla la maggioranza dei deputati padani e, soprattutto, ha dimostrato al popolo leghista di averlo ascoltato, di comprendere il suo disagio e di voler rompere con l'acquiescenza verso le posizioni del premier che aveva fatto della Lega un "partito romano", capace di ingoiare tutto pur di mantenere il potere. Basta pensare quanto deve essere dispiaciuto ai leghisti il voto con cui, avallando il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, la Lega ha fatto finta di credere all'insostenibile ipotesi che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
La lealtà è una cosa, coprirsi di ridicolo per salvare Berlusconi è un'altra.

- l'impotenza del premier a fronte del logoramento della coalizione e suo personale, che è espressa non solo dal contrasto fra la sua reazione a caldo dopo il voto (ha esclamato "vergogna!" dopo l'esito della votazione) e le parole concilianti verso Bossi, Maroni e Calderoli a qualche giorno di distanza, ma anche dall'eloquente immagine che lo ritrae rabbuiato e con gli occhi rivolti al cielo subito dopo la comunicazione del risultato.  Anche la successiva protesta del premier per il "mancato rispetto dei patti" è stata subito bilanciata da numerose dichiarazioni sulla solidità del rapporto con Bossi, che testimonia la sua debolezza rispetto ad un alleato che tende sempre più a smarcarsi dalle sue scelte: sarà interessante vedere, al riguardo, come si comporterà la Lega il 27 prossimo quando sarà affrontato in Parlamento il tema del "processo lungo" che interessa al premier soprattutto in relazione alla vicenda Ruby.

- la conferma della possibilità di una convergenza fra forze di destra, di centro e di sinistra per affrontare un'emergenza nazionale. Tale convergenza si è manifestata anzitutto nell'approvazione della manovra finanziaria e si è ripetuta in occasione del voto su Papa. Per quanto i due eventi siano molti diversi fra loro, sono accomunati dall'eccezionalità della situazione da affrontare: nel primo caso il rischio della bancarotta dello Stato, nel secondo il rischio di una rivolta popolare contro i privilegi della casta, compresa l'impunità. La rivolta se non nelle piazze (la Serracchiani  del PD ha detto che, senza cambiamenti ,"ci cercheranno con i forconi") ci sarebbe certamente nelle urne, con esiti potenziali davvero imprevedibili, vista l'ormai conclamata volontà degli elettori di non farsi più ingabbiare da appartenenze ideologiche e di mettere fine a scelte contrarie al buon senso e al sentire comune.

A fronte di questi mutamenti sta l'insistenza con cui il Capo dello Stato, ormai arbitro discreto della situazione politica, esprime apprezzamento per lo spirito di "coesione nazionale" mostrato dai partiti in occasione della manovra finanziaria e segnala l'esigenza di ulteriori prove di coesione in futuro. Non c'è dubbio che, in questa affermazione, vi sia la preoccupazione per l'evoluzione del contesto economico e dell'atteggiamento dei mercati verso il nostro Paese. Tuttavia è possibile scorgervi anche la preoccupazione per l'evoluzione del quadro politico che potrebbe richiedere un qualche tipo di "governo di unità nazionale" qualora la crisi in atto dovesse precipitare e in attesa di future consultazioni elettorali.
Per quanto vi sia, da parte di alcune forze politiche, la richiesta formale di elezioni anticipate, la loro realizzazione sembra improbabile perchè l'esito delle stesse è altamente incerto e temuto sia dal centrodestra che percepisce, anche dai sondaggi, la forte caduta di consenso nel Paese, sia dal centrosinistra che non è ancora pronto a presentare un programma ed una leadership condivisi.
L'ipotesi di un governo di coesione nazionale potrebbe essere favorita dagli sviluppi delle inchieste giudiziarie in corso qualora esse dovessero investire direttamente importanti membri del governo.

Nel caso in cui il Capo dello Stato debba intervenire per consentire una nuova compagine governativa, vedo due possibilità:

- un governo tecnico sul modello di quello di Ciampi in occasione della crisi degli anni novanta. Tale governo potrebbe essere sostenuto da un amplissimo arco di forze politiche di destra, centro e sinistra. Il candidato più qualificato sarebbe, a mio avviso, Mario Monti per la sua indiscutibile autorevolezza, anche internazionale, e competenza.

- un governo politico espressione di forze eterogenee ma situate in un arco più limitato rispetto all'ipotesi precedente (ad esempio: PDL, Lega, Terzo Polo, IDV, data la svolta moderata di Di Pietro). Il Terzo Polo ha mostrato disponibilità al riguardo. Di Pietro, che ha fiuto, non credo perderebbe l'occasione di ribaltare comunque lo stagnante assetto politico attuale. Il candidato più probabile sarebbe Maroni, che gode di un'ampia rete di consensi sia nella maggioranza che nell'opposizione. Il suo schermirsi a fronte dell'ipotesi di una sua candidatura a premier rientra nel gioco delle parti, ma non preclude affatto tale ipotesi. Escluderei invece la partecipazione del PD, proposta da Fini in una recente intervista a La Repubblica, perchè sarebbe troppo oneroso da un punto di vista elettorale per questo partito partecipare ad un governo guidato da un esponente di quello attuale. dopo la contrapposizione frontale che vi è stata. D'altronde la proposta di Fini è stata respinta al mittente per bocca di Enrico Letta.

La scelta fra le due ipotesi dipenderebbe non solo dalla dinamica fra le forze politiche, ma anche dall'andamento dei mercati: se l'aggressione all'Italia riprendesse in  modo virulento, sarebbe preferbile la prima per le maggiori garanzie che darebbe al mondo finanziario.
Entrambi i governi avrebbero un compito primario: la revisione della Legge elettorale, per ridare agli elettori la possibilità di eleggere i loro rappresentanti e  correggere altre storture del "porcellum", cioè l'attuale Legge Calderoli,  così chiamata dal politologo Sartori perchè lo stesso Calderoli l'ha definita "una porcata".

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